venerdì 15 luglio 2011

Fight Club : un film che fa riflettere

Si, lo so, non è un film proprio recente, e con qualche veloce ricerca sul web si può scoprire che è del 1999, ben dodici anni fa, di David Fincher, un registra pressoché sconosciuto fino a due anni fa quando è uscito con “Il curioso Caso di Benjamin Button”.

Approfondirei due questioni  che secondo me sono molto interessanti. Il fotogramma inserito all’interno della pellicola. La spiegazione che viene data da E.Norton è che noi vediamo il fotogramma, che dura 1/48 di secondo, ma lo percepiamo solo a livello inconscio, quindi non sappiamo di aver visto quel fotogramma, quella foto oscena, si potrebbe trattare anche della scritta Coca-cola, o altre marche (per fare pubblicità), mentre il nostro inconscio lo “vede” e lo interpreta, infatti nel film vediamo la bambina che si mette a piangere. In Italia è vietato avere inquadrature che durano meno di 10-12 fotogrammi, in America questo è permesso, infatti, la versione integrale ha diverse inquadrature di tale lunghezza, alcuni anticipano Brad Pitt, prima che lo vediamo sulla scala mobile.

L’altra questione è la voce fuori campo, parecchio ossessiva, che rende alcune parti del film quasi come fosse un documentario, non so dire se senza sarebbe stato più bello, ma non amo troppo le voci fuori campo.

Il dialogo che mi ha colpito di più in questo film è stato il seguente
Eccolo:
“- Se siete seduti nella prima fila dell’uscita di sicurezza...
- si...
- ...ritenete di non essere in grado o non volete eseguire le procedure indicate sul manuale, vi preghiamo di chiedere di cambiare di posto.
- E’ una grande responsabilità!
- Vuole cambiare posto?
- Non credo di essere la persona adatta per questo tipo do cose.
- Istruzione per il portelo 30mila piedi, illusione della sicurezza
- Si, credo di si.
- Sa perché mettono le maschere d’ossigeno sull’aereo?
- Per poter respirare
- L’ossigeno ti fa sballare, in un’emergenza catastrofica uno fa grandi respiri di paura, a un tatto diventi euforico. tocile, accetti il tuo destino. Guardi qui, atterraggio d’emergenza sull’acqua a seicento miglia all’ora. Sguardi assente calmi come le vacche indù.
- E’, è una teoria interessante. Lei che fa?
- Come sarebbe?
- Cosa fa per vivere?
- Perché vuole far finta che la interessa?
- d’accordo.
- C’è una distorta disperazione nella sua risata
- Abbiamo la Stessa identica valigetta.
- Sapone
- Come?
- Io produco e vendo sapone, il metro di misura della civiltà.
- Fu cosi che conobbi Tailer Durner
- Lo sa che mescolando parti uguali di benzina e succo di arancia congelato si può fare il Napal?
- No, questo non lo sapevo!
- Si può fare ogni tipo di esplosivo usando semplici articoli casalinghi?
- Sul serio?
- Se uno ha l’inclinazione.
- Tailer, Lei è l’amico porzione singola più interessante che abbia conosciuto, io ho questa idea, sull’aereo tutto è porzione singola, anche le persone...
- ah, ho capito,è molto acuto
- Grazie!
- E le da soddisfazione?
- Cosa?
- Essere acuto?
- Tanta
- Continui pure, continui pure! Ora è una questione di etichetta, o le do il culo o il pacco!”

Oggi, la cosa che mi fa impazzire è l’incredibile lavoro che fa David Fincher con il personaggio, Lui prende questo tipo e lo divide a metà: la sua parte buona E.Norton e la sua parte cattiva B.Pitt, o forse, la coscienza cattiva B.Pitt e lui il personaggio E.Norton (che in questo modo ascolta solo la coscienza cattiva), e li mette a confronto, E.Norton ovviamente è smarrito, cambia completamente, si picchia da solo, spettacolare la scena nell’ufficio in cui si picchia d’avanti al proprio capo, ma dai flash-back che vedremo alla fine scopriamo che si è picchiato da solo anche fuori dal cinema, quando ha “chiesto” ospitalità a B.Pitt.

Alla fine si uccide per uccidere l’altra metà e vivere, dimostrazione ovvia che non può coesistere personaggio e autore (L’avventura dei due collaboratori nella rubrica di Vasilij Wasinsky) o persona e il suo doppio o la coscienza o altro.
Lo stesso ragionamento, poi lo farà anche David Lynch, solo un anno dopo con Munholland Drive e in precedenza con Strade Perdute.

Questo film rappresenta un viaggio attraverso la società in cui viviamo, la superficialità dell'umanità e l'apparenza... Il protagonista (che non si chiama Jack) si crea un alter ego, Tyler Durden, per riuscire ad essere quello che da solo non riusciva ad essere... Dà fuoco al suo appartamento e va a vivere abusivamente in una casa abbandonata; inizia a trattare il suo capo come avrebbe sempre voluto fare e, cosa più importante, "costruisce" il Fight Club per aiutare non solo se stesso ma anche tutti gli altri.
Questo film, visto più di una volta, può farti capire in che mondo viviamo, in un mondo (l'occidente) dove sei il tuo lavoro, dove sei quello che hai nel portafogli , e soprattutto dove sei i vestiti che indossi e quello che possiedi. Insomma, un film che tratta del consumismo sfrenato, delle pubblicità che con i suoi stratagemmi riescono a convicerti a comprare sempre nuovi prodotti, uno dietro l'altro. Ormai nelle nostre case abbiamo tutto, la maggior parte sono beni superflui che alla fine pensandoci un pò non ci servono.



Citazioni chiave del film :
"Mi facevano pena quei ragazzi ammassati nelle palestre che cercavano di somigliare a quello che gli dicevano Calvin Klein o Tommy Hilfiger."

"Omicidi, crimini, povertà. Queste cose non mi spaventano. Quello che mi spaventa sono le celebrità sulle riviste, la televisione con cinquecento canali, il nome d'un tizio sulle mie mutande, i farmaci per capelli, il viagra, poche calorie.."

"Respingo i principi base della civiltà, specialmente l'importanza dei beni materiali"

"La pubblicità ci fa inseguire le auto e i vestiti, fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono."

"Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita."

Se non avete ancora visto questo film ...... beh, che aspettate ? ;) http://www.megavideo.com/?d=9MZK45JD

Consumismo sfrenato , pubblicità e capitalismo

 CONSUMISMO E CAPITALISMO

Natale secondo me è il periodo per eccellenza in cui la nostra scelleratezza consumistica ha maggior sfogo. Amici, parenti e partner si attorniano vicino al "focolare domestico" per fare a gara, nel migliore dei casi, sull’ultima novità sfornata dalle famose multinazionali, soprattutto di articoli elettronici e articoli d'abbigliamento ( che magari poi cambia solo il colore dalla versione precedente ) appena comprata. E’ un’assurdità e come tale, essendo degenerata all’inverosimile, non è più accettabile. Cos’è, una corsa all’ultimo acquisto? E i telegiornali ci fanno anche i titoli, come fosse normale…. Forse abbiamo accettato tutto questo, abbassando la testa, ma è illogico correre e correre, acquistare e acquistare all’infinito. Vi siete mai chiesti che fine fanno i vecchi prodotti? riciclati nel migliore dei casi, nel peggiore invece vengono messi da parte e vengono dimenticati in un armadio per molti anni. . E vi siete mai chiesti perché una lavatrice del 2000, ad esempio, non dura più come una costruita all’inizio del secolo? Non è che non sanno più assemblarle come una volta: semplicemente preferiscono puntare sulla quantità e non sulla qualità: alle case produttrici rende, obbiettivamente, di più una lavatrice che dura poco, che una che dura tanto. In questo modo le vendite sono, bene o male, assicurate. Perché alla fine compriamo sempre ( o quasi ) la marca che viene più reclamizzata. Nonostante siamo diventati ( per quello che ci pare ) economi. A tutto ciò si somma la recente scoperta che il consumismo sfrenato non svuota solo le tasche ma procura anche profonde depressioni. All’origine della depressione per i consumatori accaniti ci sarebbe la rapida perdita di valore dell’oggetto appena acquistato. Insomma, su un fatto almeno dovremmo essere tutti d’accordo: è il consumismo il male del secolo.

IL POTERE DELLE PUBBLICITA'

Ci si abbandona senza nemmeno pensarci. Si tratta di un mezzo di propaganda che agisce sulla nostra psiche con effetti per certi versi anche ipnotici. Incide sugli acquisti, ma anche su atteggiamenti e abitudini. Non tutti sono in grado di interpretare ciò che viene loro imposto.

Un insidioso quanto coinvolgente fenomeno, un preoccupante quanto ipnotico mezzo di propaganda. E’ la pubblicità, che costituisce una componente ormai dominante del nostro quotidiano.
Quante volte di fronte a due prodotti abbiamo concluso scegliendo quello maggiormente pubblicizzato, o che in quel momento ha uno spot più simpatico, più accattivante di un altro? Forse di taluni casi, è difficile anche produrne una stima …

La pubblicità, che sia televisiva o su giornali, su manifesti o su depliants, ha ormai invaso, molte volte pilotandola, la vita di tutti noi.
La sua diffusione “copre” non solo la sfera degli acquisti, ma fattore ancor più determinante influisce sugli atteggiamenti, sugli usi, sulle abitudini dell’intera società.
Spesso, basta una frase, un modo di dire più volte ripetuto e pubblicizzato, affinché questi diventino d’uso comune.
È di dominio pubblico ormai, il fatto che le mode condizionino il vestire di quanti finiscono così per “essere di tendenza”.

Riguardo all’esser di tendenza, vengono dunque interessati i locali, i luoghi di ritrovo del “popolo della notte” di gran parte delle città italiane, che tende a scegliere come meta di divertimento quel ristorante o quella discoteca che va di moda in quel determinato periodo e dove vanno tutti in città.
La pubblicità o comunque qualsiasi tipo di messaggio finalizzato a reclamizzare da parte dei media un prodotto, un atteggiamento, un uso o quant’altro agiscono prepotentemente su coloro che di tali messaggi ne diventano in modo indiscriminato fruitori.

La fruizione è proprio il principale nucleo problematico della questione, perché non sempre si sa interpretare a dovere ciò che i media ci impongono, o meglio non tutti ne hanno la capacità e la preparazione. Cosa succede infatti se, obiettivo di slogan pubblicitari o di strani soggetti che si atteggiano dietro una macchina da presa o su una copertina di un giornale, sono i bambini?
Certi messaggi piovono addosso a questi, ricadendovi con una pregnanza sbalorditiva, ed è con questa che di frequente sono causa della costituzione di un immaginario a volte sbagliato, quell’immaginario che propone come massimi valori la bellezza, la ricchezza, il potere, che pone davanti a quanti la osservano personaggi che divengono motivo di emulazione.

È frequente, negli adolescenti, avere un idolo che conduce dunque alla sua imitazione. E se ciò che si vuole imitare possiede dei connotati non del tutto positivi? Se quello che si vuole pubblicizzare e proporre come modello è diseducativo o deviante?
Molti di coloro che sono destinatari di tutto quello che si è menzionato finora, non hanno ancora l’esperienza per aver messo quell’impermeabile che permette, a ciò che ci giunge, di scivolare addosso senza intaccare l’equilibrio già acquisito, senza scuotere, ma anzi stimolando una critica ed un esame di quanto accade per rinsaldare alcuni tasselli dell’ordinario agire.

Il paradosso della pubblicità in senso lato è che quest’ultima ha tanto successo, quanto più è seducente, proprio perché il meccanismo che la governa è la sua efficacia, l’efficacia di convincerci a comprare un prodotto anziché un altro.
Così facendo però tende a reclamizzare oggetti di un desiderio spesso non appagabile, e dunque si fa portavoce non solo di un preciso sistema di valori, ma soprattutto di quell’infelicità tipica di chi sviluppa la coscienza di volere ciò che, per molteplici ragioni, non può avere.
Concludendo, ciò su cui si vuole porre l’accento, non è di certo un boicottare la pubblicità o un volerla stupidamente eliminare, ma è un evidenziare gli effetti spesso devastanti di essa, al fine di far riflettere su quanto sembra ormai alla luce della vita di ogni giorno normale, scontato, ovvio, ma che invece nasconde in sé, una forza blanda, sottile, che agisce silenziosa, ma che è capace di forgiare tutto con la sua mano potente ed efficace, come solo uno strumento mediatico sa fare.

Ricordatevi che la pubblicità ci fa inseguire le auto e i vestiti, fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono.
Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non è così. E lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene.

E infine : Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli e soprattutto non sei i tuoi vestiti di marca !
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